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50 Km di Romagna: lei, la sola.

50 Km di Romagna: lei, la sola
2 febbraio 2023

di Andrea Accorsi
Articolo pubblicato su Correre n° 460, febbraio 2023
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Ci sono crocevia sulla strada della vita di ogni atleta, qualunque sia la disciplina sportiva praticata.
A volte si sceglie una direzione piuttosto che un’altra, a volte la direzione è quasi obbligata, come se per accedere a un livello superiore si venisse chiamati a percorrerla. Una di quelle strade prende il via da Castel Bolognese, per tornarvici dopo 50 km. Per tutti coloro che aspirano a diventare ultramaratoneti è questo il bivio obbligatorio: la 50 km di Romagna, una tappa che colma il divario tra la distanza regina e tutto ciò che va oltre. Otto chilometri in più, in fondo cosa saranno mai per chi ne macina già quarantadue?

L’esperienza mi ha insegnato che le misure sono solo la traduzione in numeri delle ansie, mentre gli esami si fanno sulla strada, mettendo da parte l’idea che il voto finale dipenda solo da una distanza.

La storia sportiva, l’epopea dei campioni, così come la via più lineare degli amatori, ci mostra esempi di quanto sia imprescindibile lo stato di appartenenza a un gruppo, a un’idea comune di legame, là dove il luogo, la storia e gli uomini hanno scritto pagine indelebili.

C’era una volta…

È quello che accade dal lontano 9 maggio 1982 a Castel Bolognese, quando poco più di 200 impavidi maratoneti presero parte alla 1ª edizione della Grande Maratona del Senio, la madre di quella che sarebbe diventata la 50 km di Romagna. L’incipit di Correre titolava così la nascita di un evento che in qualche modo avrebbe cambiato la storia della corsa di lunga lena: “La strada di Biancanigo, a sud di Castel Bolognese, abbandona la verde pianura e risale la Valle del Senio sui pendii delle prime colline popolate di ville, che svettano tra i campi matematicamente coltivati di viti da cui si attingono l’albana, il trebbiano e il sangiovese”.

Quella première nacque da un’idea dei tre soci fondatori della società storica della zona, l’Avis Castel Bolognese: Borghesi, Simoni e Baldrati, con il proposito di offrire un test, sia per tipologia di percorso sia per lunghezza dell’anello, a chi il mese successivo si avventurava da Firenze a Faenza, la 100 km del Passatore.

Da quell’azzardo, quella scommessa vinta, siamo arrivati alla 40ª edizione, un crescendo che anno dopo anno ha portato sulle strade di Romagna podisti da tutto il mondo. L’appuntamento per il 2023, come da tradizione, è per il 25 aprile. Chissà se, proprio in occasione di questo importante anniversario, si scriveranno i nuovi record del percorso. Quelli attuali portano il nome di Mario Ardemagni, che ha fermato il cronometro a 2:46’26”, e Monica Casiraghi, che ha tagliato il traguardo in 3:23’10”.

E chi se lo scorda?

Per chi come il sottoscritto ha vissuto il mondo dell’ultramaratona in tutte le sue sfumature, distanze e follie, questo evento ha rappresentato una sorta di vera e propria iniziazione, la spinta a buttare il piede oltre l’ostacolo. A Bologna, la mia città, si viveva con fermento il periodo che precedeva il fatidico 25 aprile, vuoi per la spinta che attraverso i suoi aneddoti un certo Vito Melito trasmetteva a ogni podista locale, lui che aveva tagliato il traguardo per primo nel 1983, vuoi per la vicinanza del territorio. Ricordo ancora con precisione chirurgica i preparativi: ci si dava appuntamento alle cinque del mattino, automobili da quattro, le iscrizioni sul posto fino a mezz’ora prima del via, sogni che rimbalzavano dietro il finestrino, parole di chi c’era già stato e timori di chi per la prima volta andava. La verità si consumava tutta nel giro di poche ore, veniva a galla sull’erta di Monte Albano, 5 km di salita che ti sputano in faccia il sale della fatica, per poi scagliarti giù nella lunga discesa che porta a Zattaglia. E ancora saliscendi e quegli ultimi, interminabili 9 km che da Villa Vezzano fino in piazza Bernardi, a Castel Bolognese.

La medaglia al collo, la voce dello speaker che scandisce il tuo nome, il tuo tempo e Riccardo Giannoni che ti pianta tra le mani un magnum di Sangiovese: devi raccogliere le ultime forze per non fare un lago di vino rosso sull’asfalto. Ne ho ancora tre in casa di quei boccioni, li conservo come un trofeo prezioso, gli tiro via la polvere tutti gli anni, mi fanno tornare indietro su quella strada piena di ricordi.

Tra le pagine di un libro

Ci ho scritto un romanzo su questa gara, si intitola Fino all’ultimo fiato, la voce interiore di Mirko, il mio protagonista risale per quei 50 km che diventano, oltre che un percorso di gara, soprattutto un viaggio dell’anima, attraverso reminiscenze alternate a stati d’animo che l’impegno enfatizza. Proprio come accade nella vita quotidiana, dove si cerca silenzio, solitudine e fatica per guardarsi dentro e conoscersi meglio.

Basta una volta e t’innamori

Io l’ho trovato là il mio crocevia per poi allungare a 100, 200 e passa chilometri, ma soprattutto ho imparato lì, su quel pezzo di storia della corsa a piedi, la mia piccola verità: una volta che l’hai fatta, t’innamori e la sera prima non riesci a dormire, perché la realtà è meglio dei sogni.

Ma io sono di parte, e come diceva Paulo Coelho, quando incontriamo qualcuno e ci innamoriamo, abbiamo l’impressione che tutto l’universo sia d’accordo.

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